I LOVE CURVA SUD: ECCO I MAGNIFICI OTTO DELLA “WALL OF FAME” BIANCOROSSA
ARTICOLO PUBBLICATO:10 GIUGNO 2015 – TRATTO DA BIANCOROSSI.NET
Il sondaggio “I love Curva Sud”per costruire tutti insieme il Wall of Fame biancorosso si è concluso rivelando un protagonista a sorpresa.
Purtroppo però, come abbiamo anticipato, non si tratta di uno dei campioni che ci hanno fatto sognare nell’ultrasecolare storia del Vicenza bensì dell’utente che in questa calda primavera evidentemente non ha trovato di meglio da fare che boicottare il sondaggio. Non riusciamo a capire quale sia stato il divertimento o il motivo del sabotaggio di un’iniziativa popolare, senza fini di lucro e fatta con il solo scopo di celebrare la nostra squadra ma sappiamo che questo ci ha costretti a rivedere i voti uno a uno perdendo molto tempo. Grazie, amico.
Ad ogni modo, alla fine siamo in grado di decretare i vincitori che verranno ritratti nel grande murales che sarà realizzato sotto la curva Sud. Per la sezione che abbiamo denominato “La Storia”,Giulio Savoini è primo per distacco seguito da Sergio Campana. Tra i protagonisti del Real Vicenza, scontato il primo posto del bomber Paolo Rossi, il secondo ritratto sarà quello di Giorgio Carrera. Toto Rondon e il futuro Pallone d’oro Roberto Baggio saranno i volti del Vicenza anni ’80 guidato da Bruno Giorgi mentre Marcelo Otero e Mimmo Di Carlo saranno i simboli dell’avventura targata Guidolin.
Questi i “magnifici otto” che si aggiungono al Capitano Gio Lopez e al padrone di casa Romeo Menti. Gli artisti realizzeranno i murales durante il mese di luglio, a breve verrà comunicato il programma dettagliato dei lavori.
Il Menti è la casa dei tifosi, la nostra casa, e come tutte le case ha bisogno di essere rinfrescata, abbellita e decorata con i ricordi della famiglia che ci abita.
Questo è l’obiettivo del progetto “I love Curva Sud” e Biancorossi.net ha deciso di dare una mano.
Da oggi, per due settimane, il nostro sito ospiterà un sondaggio con il quale tutti i tifosi potranno indicare quali sono i giocatori che meritano di essere ritratti nel grande murales che verrà realizzato sotto la curva. Del resto, dove vanno i grandi campioni a fine partita se non sotto la curva?
Il meccanismo è semplice. La storia del Vicenza è stata divisa in quattro epoche, legate ai suoi periodi più splendenti: i vent’anni di serie A, il Real Vicenza (quello vero…), il Vicenza di Giorgi e l’epopea dalla B all’Europa di Guidolin. Per ognuno di questi periodi è stata scelta una rosa di nomi tra i quali il tifoso potrà scegliere i suoi due preferiti: un totale di 8 giocatori che andranno a comporre, accanto al capitano Gianni Lopez che alza la Coppa Italia (ovviamente fuori concorso) e a Romeo Menti padrone di casa, una Hall of Fame biancorossa, anzi, un Wall of Fame.
Ci sembrava giusto che la scelta fosse fatta tutti insieme, che tutto il popolo biancorosso potesse esprimere la sua scelta perché il Menti è la casa di tutti e tutti devono avere sulle pareti di casa i loro ricordi. Abbiamo una grande storia ed è quello che serve per costruire il futuro.
Ieri notte 02.06.2015 è mancato un pezzo della nostra storia.
Vicenza Calcio piange la scomparsa di G.B. Fabbri, l’allenatore artefice della promozione in Serie A, del secondo posto in campionato nel 1977-78 alle spalle della Juventus e che consacrò al calcio italiano un giocatore rivelazione come Paolo Rossi.
Alla sua persona e a quella squadra da lui plasmata, riconosciuta da tutti come Real Vicenza, sono legate le pagine più intense del nostro cammino calcistico.
Grazie Mister per aver creduto in questi ragazzi e averci donato il mitico Lanerossi Vicenza!!
È morto G.B. Fabbri: inventò Paolo Rossi bomber, predicava il calcio totale
Si è spento a 89 anni l'allenatore che portò il Vicenza al secondo posto in A cambiando ruolo a Pablito. Ripeteva sempre: "Il primo attaccante deve essere il portiere"
All'età di 89 anni è morto a Ferrara Giovan Battista Fabbri. Nato a San Pietro in Casale l'8 marzo 1926, Fabbri ha legato il suo nome soprattutto alla stagione d'oro del Vicenza. Dopo l'esperienza nel 1974 con il Piacenza, venne ingaggiato dal presidente del Lanerossi Giuseppe Farina e in Veneto ottenne il rilancio personale, potendo contare anche su un giovane Paolo Rossi. Proprio a Fabbri è attribuita l'intuizione di avere spostato il futuro "Pablito" dal ruolo di ala destra a quello di centravanti a causa della contingente mancanza di un bomber in squadra. Con il Vicenza conquistò nell'arco di due anni una promozione in Serie A e quindi nel 1977-1978 uno storico secondo posto nella massima serie alle spalle della Juventus. Al termine di quella stagione Fabbri vinse il prestigioso riconoscimento del Seminatore d'Oro come migliore allenatore italiano dell'anno. Fu uno dei primi predicatori del calcio totale tanto che amava ripetere: "Il primo attaccante deve essere il portiere". Ha giocato e allenato in 48 campionati ufficiali, dal 1945 al 1993. La sua attività di allenatore è continuata fino al 1999 con il Club Italia, la squadra federale dei Campioni del Mondo del 1982, per un totale di 57 anni di attività.
A 89 anni l'allenatore che portò il Vicenza al secondo posto in A cambiando ruolo a Pablito. Ripeteva sempre:
LA REAZIONE — "G.B. Fabbri era un grande. È stata una persona fondamentale per la mia carriera, e per me era come un padre, sotto tutti i punti di vista. Gli volevo bene". Paolo Rossi ricorda così il tecnico che lo trasformò in goleador al Vicenza. "Fabbri è stato quello che mi ha scoperto dal punto di vista tecnico cambiandomi ruolo e vedendo in me qualcosa di diverso, e doti che altri non avevano visto. Fu lui che mi trasformò da ala in centravanti, e i fatti gli diedero ragione. Al Vicenza fu un precursore. Erano gli anni in cui si parlava di calcio totale, e lui ci faceva giocare in quel modo". Ma Rossi tiene a ricordare anche il Fabbri uomo. "Era una persona squisita - dice - e ricordo che a Vicenza mi aiutò in tutto e per tutto. A volte mi invitava a mangiare a casa sua, e ci siamo frequentati anche quando ho smesso di giocare. Il nostro era un rapporto quasi come tra padre e figlio e tra noi c'era un affetto forte".
C’è stata un’epoca lontana, illuminata dalle prime tv a colori, in cui la provincia calcistica italiana ha sognato. C’è stato il Lane dei miracoli, quel Real Vicenza capace di arrivare a un tiro di schippo dalla Juventus Campione d’Italia nella stagione 1977/1978, che ha fatto innamorare una generazione intera di calciofili. Ha fatto sognare chi vedeva nel pallone il riscatto sociale del più debole e non una scienza perfetta in cui a vincere sono sempre i più forti. No signori. Quel Vicenza operaio e dal sangue blu allo stesso tempo aveva un mentore. Un maestro. O per meglio dire, un condottiero: Giovan Battista Fabbri. Gibì per tutti. Da San Pietro in Casale. Un emiliano purosangue. Uno che nelle vene ha lo stesso sangue di Enzo Ferrari per intenderci. Passione, amore per lo sport e tanta fantasia. Lui che calcisticamente ha conosciuto il massimo splendore dall’altra parte dell’Italia. A Messina, in riva allo Stretto con 157 presenze e 21 gol, nei più disparati ruoli. Dall’ala al mediano. Sì perché per Gibì l’importante era sapersi riadattare, cambiare prospettiva, correre ed avere sempre un obiettivo per il futuro. Così a fine carriera non ha problemi a salire sul primo treno, uno di quei carri ferrati che univano il Sud e il Nord con tempi a dir poco biblici, e mettersi alla guida del Varese prima, delle giovanili del Toro poi e infine, prima del suo capolavoro in terra veneta, ad attaccare cappello nella città degli Estensi. A Ferrara gioca la Spal, uno dei club storici del calcio italiano. In maglia biancazzurra fa esordiere un certo Fabio Capello.
E’ il Lanerossi del presidente Farina il suo Cavallo di Troia con cui entrare di soppiatto nella Serie A di fine anni ’70 e sorprendere i pall0nari di tutta Italia con intuizioni ed innovazioni di olandese memoria. Terzini che corrono avanti e indietro come forsennati e ruoli intercambiabili. Tutti debbono essere la squadra. Basta con la staticità dei ruoli. Due promozioni in altrettante stagioni gli valgono il balzo in massima serie. E allora basta anche con Paolo Rossi all’ala destra. Sì signori. Pabilito Rossi, quello delle notti magiche di Spagna ’82. Quelllo della tripletta all’imbattibile Brasile di Falcao e Socrates. Se Nando Martellini quella sera a Barcellona ha potuto raccontare una delle partite più celebri della nostra Nazionale è anche e soprattutto merito di Gibì. Perché quella scelta non solo fu a dir poco decisiva per il secondo posto dei berici (24 gol, titolo di capocannoniere e convocazione per i mondiali di Argentina ’78) ma fu il vero trampolino di lancio per l’attaccante che poi metterà nelle mani di Bearzot buona parte del Mondiale 1982.
L’anno dopo non va bene. E’ vero. Il Vicenza retrocede in Serie B e il calcio spettacolo della stagione precedente è solo un vano ricordo. Ma Gibì non si arrende. Va ad Ascoli, alla corte del vulcanico Costantino Rozzi, dove conquista un quinto posto in Serie A, miglior piazzamento di sempre per il club piceno. Provate voi a utilizzare una macchina del tempo ed a tornare indietro di 35 anni. Andate a Milanofiori, dove in quegli anni si svolgeva il calciomercato, e chiedete a chiunque vi capiti davanti cosa ne pensa di Fabbri. “Un genio”, “Un innovatore”, “Un avanguardista”. Perché nessun club ebbe il coraggio di farlo sedere sulla propria panchina? E chi lo sa. Forse paura di rischiare. Il genio nel calcio non sempre ha marciato di pari passo con il successo. Prendete un Roberto Mancini ad esempio. Erano gli anni dei Trapattoni e dei Liedholm. Sostanza e carattere. Gibì scende negli inferi della Serie C. Porta il Catanzaro in cadetteria. Tornerò altre due volte a Ferrara e sarà il primo della lunga serie di allenatori esonerati da Maurizio Zamparini, che sul finire degli anni ’80 lo vuole a Venezia. Ma neanche l’arroganza dell’attuale presidente del Palermo riesce a scalfire il mito che ormai Fabbri si è costruito attorno.
Gibì se ne va il 2 giugno del 2015. Di sera. Perché è così che fanno i grandi. Si nascondono tra le tenebre del buio, senza farsi vedere e senza salutare. Non è maleducazione. Ma soltanto rispetto per chi li ha amati e non vuole vederli soffrire. Aveva 89 anni suonati, eppure ancora soffriva per i suoi amori. Gibì infatti lascia questa terra esattamente tre giorni dopo la retrocessione del suo Messina tra i dilettanti e un giorno prima del ritorno della finale playoff tra il Vicenza e il Pescara. Al Lane non è bastato il battito del suo cuore e il suo tifo da lassù, da quelle nuvole tinte per l’occasione di biancorosso da cui è spuntato lui. Gibì. Voleva guidare i vicentini esattamente come 37 anni fa. Ma anche se non ci è riuscito i ragazzi della curva lo hanno ricordato. Con le lacrime agli occhi, anche se non lo conoscevano. Anche se tanti erano bambini e forse neanche sapevano delle imprese, più recenti, di Otero e Zauli. “Hai fatto la storia, ora sei nella leggenda. Ciao Gibì”. Così gli hanno scritto all’esterno dello stadio Menti. Ciao Gibì. Ci mancherai, è vero. Non solo perché il tuo calcio non c’è più. Non solo perché oggi è difficile sognare un pallone che porti la provincia ai massimi livelli. Ma anche e soprattutto perché di uomini che proveranno a stupire, inventare e migliorare ne avremo sempre meno. Ma quando vedremo una partita che finirà 0-0, con pochi tiri in porta e tanta noia ti penseremo dicendo: “Forse sarebbe bastato spostare quel giocatore dall’ala all’attacco. Bastava solo un po’ di coraggio”. E il coraggio appartiene agli immortali.
« Ebbi l'onore che Gianni Brera venne in spogliatoio a congratularsi e disse: "Veramente, non avrei mai creduto che una squadra di provincia giocasse al calcio come ha giocato il Vicenza". »
(Giovan Battista Fabbri, allenatore del Lanerossi Vicenza tra il 1976 e il 1979.[1])
Nel 2008 ha scritto il libro autobiografico "Gibì, una vita di bel calcio" (Bacchilega editore)[3].
Muore la sera di martedì 2 giugno 2015, all'età di 89 anni.[4]
Caratteristiche tecniche
Calciatore
Giocatore eclettico, ha ricoperto numerosi ruoli, tra cui quelli di ala e mediano. Per le sue doti di corsa e resistenza era soprannominato Brusalerba[3].
Allenatore
Fabbri predicava un calcio che per l'epoca (anni settanta/ottanta) era considerato in Italia avanzatissimo, una derivazione del calcio totale olandese[5][6]: terzini a stantuffare sulle fasce, difensori e attaccanti a scambiarsi i ruoli senza troppi imbarazzi[7] e un'estrema spettacolarità di gioco che però veniva pagata con una certa fragilità difensiva[8]. Utilizzava un solo attaccante centrale, supportato dagli inserimenti delle ali sulle corsie esterne e dalle sovrapposizioni dei terzini[9], e preferibilmente senza impiegare un vero e proprio regista[6].
Carriera
Giocatore
Ha iniziato la carriera nella S.P. Centese in Serie C, disputando 32 partite con 14 reti tra il 1945 e il 1947 e conquistando la promozione in Serie B[10]. In seguito si trasferisce al Modena, con cui esordisce in Serie A nella stagione 1947-1948, e quindi disputa sette stagioni nel Messina (una in Serie C e sei in Serie B)[11]. Nel 1955torna per una stagione in Serie A con la SPAL, per poi concludere la carriera di calciatore con Pavia(retrocesso dalla Serie B alla Serie C)[12] e Varese, dove ha assunto il doppio ruolo di allenatore-giocatore nel campionato di IV Serie 1957-1958[13].
Ha totalizzato complessivamente da calciatore 61 presenze e 8 reti in Serie A e 140 presenze e 13 reti in Serie B.
Allenatore
Dopo l'esordio a Varese, guida le giovanili di Torino[6], SPAL (dove siede a più riprese sulla panchina della prima squadra[13], lanciando il giovane Fabio Capello[3]) e Cesena[13].
Fabbri al Giulianova nel 1972, fraTancredi, Curi e Alessandrini.
In seguito allena la Sangiovannese, in Serie C[13], e prosegue sulle panchine di Giulianova, dove sfiora la Serie B chiudendo il campionato di C al 2º posto, e Livorno[13]: in Toscana non conclude la stagione, a causa di attriti con la dirigenza, che voleva imporre a Fabbri la formazione[14]. Nel 1974 siede sulla panchina del Piacenza, con cui vince il campionato di Serie C ma non riesce a ottenere la salvezza in quello cadetto, a causa di carenze di organico e un filotto di cinque sconfitte consecutive nel finale di stagione[8][14].
Lasciata Piacenza, viene ingaggiato dal presidente del Lanerossi VicenzaGiuseppe Farina[14]. In Veneto Fabbri ottiene il rilancio personale, potendo contare anche su un giovane Paolo Rossi nelle file della formazione berica. Proprio a Fabbri è attribuita l'intuizione di avere spostato il futuro Pablito dal ruolo di ala destra a quello di centravanti a causa della contingente mancanza di un centrattacco in squadra[3][5]. Con il Lanerossi conquistò nell'arco di due anni una promozione in Serie A e quindi nel 1977-1978 uno storico secondo posto nella massima serie alle spalle della Juventus. Al termine di quella stagione Fabbri vinse il prestigioso riconoscimento del Seminatore d'Oro come migliore allenatore italiano dell'anno[3][5].
Nella stagione successiva, complici le cessioni di Roberto Filippi e Giuseppe Lelj, il Vicenza retrocede in Serie B mostrando solo a sprazzi il gioco spettacolare esibito nelle annate precedenti[15]. Si trasferisce quindi sulla panchina dell'Ascoli, che porta al quinto posto in campionato, massimo traguardo raggiunto dal club marchigiano nella sua storia[13]. Ha inoltre allenato in Serie A anche il Cesena (dove è stato esonerato, complici cattivi risultati e l'ostilità dell'ambiente[16]) e ilCatania, con un intermezzo alla Reggiana in Serie B: in tutti e tre i casi le squadre retrocedono a fine stagione[13].
Fabbri e Paolo Rossi, tra i maggiori artefici del cosiddetto Real Vicenza di fine anni settanta.
Nel 1984 riparte dalla Serie C1, alla guida del Catanzaro, con cui ottiene la promozione nella serie cadetta al termine della stagione 1984-1985[17]. Nelle due annate successive subentra sulle panchine del Foggia (sostituendo Corrado Viciani[13]), in C1, e del Bologna, in Serie B, dove è chiamato a sostituire Vincenzo Guerini[18]. Con i rossoblu ottiene la salvezza, ma il suo contratto non viene rinnovato perché il Bologna aveva già messo sotto contratto il giovane allenatore Luigi Maifredi per l'anno successivo[18].
Torna quindi per una stagione alla SPAL (subentrando a Giancarlo Cella[13]), per poi allenare il Venezia-Mestre di Maurizio Zamparini, dove, fra mille polemiche (soprattutto del presidente Zamparini, che considerava la rosa adatta alla categoria) favorì l'esordio della cosiddetta "linea verde", lanciando nel panorama calcistico tre giovani ragazzi, e diventando il primo di una lunga serie di allenatori esonerati o non riconfermati dall'imprenditore friulano[19]. Nel 1990 torna per l'ennesima volta a Ferrara, questa volta come direttore tecnico[20]: ottiene la doppia promozione dalla Serie C2 alla Serie B nel biennio 1990-1992[5][13]. Conclude la carriera di allenatore l'anno seguente sulla panchina degli emiliani, alternandosi a Rino Marchesi e Gian Cesare Discepoli[21].
Ha giocato e allenato in 48 campionati ufficiali, dal 1945 al 1993. La sua attività di allenatore è continuata fino al 1999 con il Club Italia, la squadra federale dei Campioni del Mondo del 1982, per un totale di 57 anni di attività[13].